Fiammelle di luce nera nelle viscere della montagna che scompaiono dietro porticine contrassegnate dal simbolo piratesco della Morte Secca! Cos’era quella cosa? Dove capperi stava andando? Ma ero poi sicuro di averla vista? Mi ricordo che pensai di aver esagerato nel confezionare la solita sigaretta simpatica fumata prima di iniziare il viaggio. Ma certo, se si trattava di un’allucinazione mai ne avevo avute di così vivide! E poi quella vista aveva stimolato qualcosa che riguardava i miei vissuti più antichi… Cercavo di focalizzare ma proprio non riuscivo a capire cosa… Il ricordo, testardo, non affiorava; sembrava abbarbicato sotto la superficie del mio subconscio e non ne voleva proprio mezza di mollare la presa e chiarirsi. Con un sussulto il treno riprese infine il suo viaggio e quando uscì dalla galleria, alla stazione di Vernio, c’era la notte ad attenderci. Più tardi, a casa, me ne ero completamente scordato, sopraffatto come ero dalla stanchezza del lavoro quotidiano e del ritorno. In fondo io stesso rifiutavo di accettare ciò che avevo visto.
(Continua…)
…Mesi dopo mi trovavo sulla cima del Monte Vigese: il massiccio appenninico in provincia di Bologna posto tra le valli del Limentra, Reno e Setta. La mattina tersa permetteva di spaziare lo sguardo dalle cime appenniniche, al santuario di San Luca presso Bologna fino alla catena alpina; posta al di là della pianura nebbiosa. Che spettacolo!
Con mio cugino Andrea eravamo stesi su uno sperone di roccia liscio a goderci il tepore del sole sulla roccia e sulla pelle.
Che vista! Che punto di vedetta formidabile!
Pensavo agli etruschi e a chi, prima di loro, aveva percorso e controllato quelle valli… Pensavo a genti antiche, dimenticate per sempre, che avevano conosciuto quel paesaggio come un'unica vergine superficie boschiva mentre ora, dopo più di 2.500 anni di presenza umana, tutto appariva placidamente violato. Strisce di asfalto come frustate a solcare le valli nelle più svariate altezze e direzioni, gli abitati in continua espansione, i campi in abbandono, le frane come piaghe aperte.
Il sole mi scaldava placidamente la faccia quando di nuovo, con la coda dell’occhio, vidi qualcosa di scuro e filiforme fare capolino per un breve momento, prima di scomparire in una grossa frattura del costolone roccioso su cui eravamo spaparanzati.
Mi alzai di scatto precipitandomi in quella direzione mentre mio cugino perplesso seguiva con lo sguardo il mio scatto e infine si decideva a raggiungermi. La frattura, dove mi era sembrato di vedere dirigersi quel “Qualcosa” si apriva verso il basso e sotto le foglie continuava in uno stretto pertugio in cui forse sarebbe passata una volpe, un tasso, uno gnomo.
(continua…)